“Le notizie apparse nei
giorni scorsi sui media relative a uno studio realizzato dai ricercatori della
cattedra di Urbanistica della facoltà di Architettura di Pescara, sono di
quelle che non possono passare sotto silenzio, ma meritano una riflessione
franca e
concisa con il fine di riportare costruttivamente la discussione sullo
sviluppo dell’Abruzzo su un piano di realismo storico”.
Luca Ricciuti |
Lo afferma il consigliere regionale di Forza
Italia Luca Ricciuti, presidente
della II commissione (Territorio).
“Ovviamente ciascuno, in particolare i docenti
universitari, è libero di fare le ricerche che vuole, ma a tale libertà si può
e si deve rispondere con altrettanta libertà di dissenso. In tale studio,
infatti, viene delineato un principio (o una fede?) secondo il quale ‘occorre
sviluppare l’Abruzzo intorno alle città forti’ - spiega - Ebbene il principio
cosiddetto si presenta essenzialmente contraddittorio e fallace non dimostrando
di conoscere, nel fondo, la storia economica che dal dopoguerra ad oggi ha contraddistinto
l’Italia e anche l’Abruzzo”.
“Come si fa a proporre un assunto del genere -
si chiede Ricciuti - quando, appunto, negli ultimi decenni le politiche
economiche, territoriali e sociali, hanno indirizzato prevalentemente i loro
interventi proprio sulle aree e le città ‘forti’, nazionali e regionali, senza,
però, sortire efficaci e pieni riscontri positivi ma, anzi, avendo come esiti
ricorrenti crisi industriali, aumenti della disoccupazione e abnormi
disgregazioni sociali”.
“A meno che non si intenda, per giustificare o
reiterare tali politiche, far riferimento al saccheggio del territorio, e la
costa abruzzese ne è un penoso esempio, da parte di alcune lobby spregiudicate
spesso supportate, guarda caso, anche da alcune lobby degli urbanisti - scrive
ancora - Politiche fallaci, quindi, che si vorrebbero continuare come fossero
un toccasana, quando ormai tutte le sedi più accreditate sia a livello
accademico, sia a livello di qualificati Istituti per le analisi
socioeconomiche e territoriali, Censis, Svimez, Ocse, da tempo ripetono che lo
sviluppo o è unitario e integrato su tutto il territorio, nazionale e
regionale, o non è sviluppo”.
Ricciuti fa presente che “basta guardare, al
riguardo, a regioni esemplari dove tale integrazione è stata ed è tuttora
efficacemente promossa: in Lombardia lo sviluppo non è ‘isolato’ nell’area
forte della conurbazione milanese, ma è presente anche nelle valli bergamasche
o anche nella montagna valtellinese, idem nel Veneto o nel Trentino.
"Peraltro -
prosegue - si deve anche ricordare ai ricercatori urbanisti dell’Università
D’Annunzio che l’area adriatica centrale deve certamente concorrere alla
crescita dei territori, ma non può essere la sola a determinare lo sviluppo,
dovendosi invece integrare con un’altra area significativa, l’area centrale
appenninica, che ricomprende il Molise, l’alto Sannio, l’Abruzzo interno,
l’Umbria e parte delle Marche e le presunte intatte potenzialità sono
economiche e ambientali, una componente demografica di tutto rispetto (oltre un
milione di abitanti) nonché una valenza di cerniera tra Nord e Sud e tra Est e
Ovest che si qualifica, infatti, come significativo elemento di dinamismo”.
“Pur riconoscendo agli studiosi pescaresi il
coraggio di aver provocato una ‘scossa’, si auspica soltanto che tale studio
non diventi occasione per reiterare logiche purtroppo non utili allo sviluppo
complessivo dell’Abruzzo - conclude - o per stimolare delle velleità di qualche
politico che, forse, si appresta a riversare sui cittadini abruzzesi la sua retorica
paludata e inconcludente”.
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