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sabato 27 luglio 2013

MOBBING, NO LICENZIAMENTO PER DIPENDENTE CHE REAGISCE CON VIOLENZA SE VESSATO

L'AQUILA-Non solo non può essere licenziato il dipendente che aggredisce il superiore minacciandolo con una sbarra metallica, dopo aver subìto sistematiche e continue vessazioni tali ledere la capacità di autocontrollo, ma dev’essere anche risarcito per il danno morale.A stabilirlo la sezione lavoro della
Corte di Cassazione con la significativa sentenza 18093/13, pubblicata il 25 luglio che, come rileva Giovanni D’Agata
presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, ha preso in esame il fatto, non raro sui luoghi di lavoro nostrani, del capo che mobbizza il sottoposto mentre l’aggressione del dipendente avviene a seguito di una sistematica condotta di bossing che l’azienda conosce e non impedisce.   

LA SENTENZA DI TORINO
Nel caso in questione preso in esame dalla Suprema Corte che ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Torino nella quale erano state decisive le testimonianze dei colleghi del licenziato acquisite in sede penale sulle continue vessazioni alle quali l’incolpato risulta sottoposto dal suo responsabile, tant’è che era stato ritenuto correttamente sproporzionato il provvedimento espulsivo adottato nei confronti del dipendente “incensurato”, che si ispira al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro. Per di più, quindi, oltre alla reintegra, sul posto va anche dato atto del riconoscimento del danno morale per le violenze subite dal lavoratore per cui l’azienda è responsabile ai sensi dell’art. 2087 del codice civile anche se la sentenza d’appello è stata cassata con rinvio alla stessa corte di merito in diversa composizione per quantificare l’aliunde perceptum del lavoratore che va detratto dal risarcimento.

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